Pubblicazione a nome della Rete Italiana Politiche Locali del Cibo

Call for papers

La Rete Italiana Politiche del Cibo promuove la prima pubblicazione a proprio nome.

Il titolo che abbiamo scelto è “Le politiche locali del cibo in Italia: esperienze, prospettive, criticità”. Il volume sarà pubblicato nella collana Atlante del cibo – Celid, Torino (online, open source, creative commons, con ISBN) e sarà redatto a cura di Egidio Dansero, Davide Marino, Giampiero Mazzocchi e Anna Paola Quaglia.

Siamo quindi lieti di invitarvi a partecipare inviando un abstract entro il 12 aprile. Qui trovate il testo della call, con le ulteriori informazioni per partecipare.
Con la richiesta di divulgare la call presso le vostre reti e i vostri contatti, attendiamo fiduciosi le vostre proposte!
Il Gruppo di Coordinamento e la Segreteria Organizzativa della Rete Italiana Politiche Locali del Cibo
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La Rete PLC: nome e background culturale

Il dibattito internazionale generalmente parla di “urban food policies”, “urban food planning”, “urban food strategies” e altro. Tali espressioni sono il risultato di processi che, a seconda dei contesti e delle dinamiche in termini di governance, hanno portato allo sviluppo di forme diverse di gestione delle tematiche legate al cibo. Durante l’incontro fondativo della Rete, tenutosi il 15 gennaio 2018 a Roma, presso il CREA, i presenti, una quarantina circa, si sono confrontati innanzitutto sulla scelta del nome, condividendo l’esigenza di individuare un’espressione italiana, data la volontà di confrontarsi con i diversi soggetti (amministratori pubblici, attori economici, organizzazioni di categoria, attivisti, movimenti del cibo e altri attori della società civile e con i cittadini/consumatori) che operano nel contesto nazionale. Inoltre, utilizzare un’espressione italiana significa rimarcare la specificità dei diversi contesti locali e il fatto che la Rete, attraverso le sue attività e il confronto interno ed esterno, vuol contribuire a costruire una cornice di senso per una “via italiana” alle politiche locali del cibo.

Politiche e non politica, sebbene condividiamo e sottolineiamo il bisogno di integrare in una prospettiva sistemica una pluralità di competenze e di ambiti e prospettive di azione che l’uso del singolare meglio evocherebbe. Allo stesso tempo, tuttavia, ci sembra che il plurale rifletta meglio l’eterogeneità – tra contesti locali diversi e all’interno di un contesto locale, tra azioni e processi anche contradditori – vedendo la diversità e il confronto come ricchezza ecosistemica e culturale, e riconoscendo la necessità di esplorare strade diverse e di tenere insieme esigenze e interessi differenti e non sempre facilmente conciliabili se non riducendo la complessità attoriale di un dato contesto. A fronte della complessità dei problemi correlati ai sistemi del cibo locali, con il concetto “politiche pubbliche” del cibo, la Rete intende infatti considerare anche i loro effetti inattesi, le quantità mutevoli di risorse e di interessi da esse mobilitati, i possibili nuovi attori a cui le diverse politiche aprono nella loro attivazione. Abbiamo preferito parlare di politiche intendendole in senso ampio, formali e informali, dall’alto e dal basso, considerando questi come estremi di un gradiente di possibilità. Politiche messe in campo o attivabili da una pluralità di attori – pubblici, privati e del “terzo settore” (distinzione dai confini sempre più sfumati) – e a diverse scale, pensando che ogni attore abbia un proprio potenziale spazio di azione, dal singolo consumatore ai governi locali. Politiche come processo verso obiettivi di cambiamento, la cui condivisione dipende dal livello di apertura e capacità di coinvolgimento del processo stesso.

Locali e non urbane, per mettere al centro, sul piano culturale e “geopolitico” non solamente la città, ma le relazioni e il continuum urbano-rurale in una visione territorialista delle politiche urbane, al fine di non contribuire con il linguaggio a perpetuare immagini, rappresentazioni e semantiche che implicitamente riproducono la dicotomia tra la città e la campagna. Questo non significa, tuttavia, non considerare e assumere la centralità della questione urbana e dei processi di urbanizzazione nel contesto dell’evoluzione contemporanea delle città. Politiche locali, dove il locale fa riferimento a un contesto sia geografico, sia di spazio sociale di azione. Un contesto dai confini sfumati, come livello intermedio (da costruire e legittimare) tra politiche di singoli attori (individui, gruppi, collettività locali) e politiche sovralocali (dal livello regionale e nazionale, a quello europeo e globale). Locali anche nel senso di territoriali, ma con un’idea di un approccio più ampio e trasversale della pianificazione territoriale, pur nel suo ruolo centrale che, anzi, nella prospettiva delle politiche locali del cibo aumenta la sua valenza. Viene infatti toccata una molteplicità di ambiti, alcuni con marcato riferimento spaziale, altri meno. Locale dunque come esplorazione e costruzione di possibilità di “regolazione” del sistema del cibo relativamente autonome a livello locale. Il territorio di questo locale non è fisso, non è dato, sicuramente non definito dalle competenze politico-amministrative, ma è prodotto nei processi di costruzione delle politiche locali del cibo incrociando spazi funzionali, territori culturali, ambiti di azione della politica e sistemi locali territoriali di azione collettiva attorno al cibo.

Passando a quest’ultimo, politiche locali del cibo, e non solo alimentari, perché ci sembra che il termine “cibo” rispecchi meglio la polisemia e la trasversalità dei valori nutrizionali, culturali, sociali, ambientali ed economici. Il riferimento è anche alla lingua anglosassone, nella quale con l’espressione “food systems” ci si riferisce a tutti gli elementi (ambiente, società, processi, infrastrutture, istituzioni, etc.) e alle attività legate alla produzione, trasformazione, distribuzione, consumo finale di cibo e trattamento degli scarti alimentari, insieme agli impatti socio-economici e ambientali di tali azioni. Ci interessa rimarcare, inoltre, l’importanza della dimensione etno-antropologica del “gusto” come fattore di distinzione.